Blockchain: per tutelare il vino italiano da contraffazione e concorrenza sleale

Tutela dei DOC e DOCG

La difesa dei nostri marchi di qualità si sta combattendo anche a livello europeo e interessa le contrattazioni internazionali. Un esempio? Il caso del Prosecco australiano.

Nonostante un accordo tra Europa e Australia che tutela le indicazioni geografiche dei vini europei, l’Ufficio del Commercio australiano ha escluso da questi il Prosecco. Sembra infatti che i produttori australiani utilizzassero questo nome ben prima del 2009, anno di nascita del disciplinare di produzione che indica zone di provenienza e l’utilizzo di uve Glera (non del vitigno Prosecco come in Australia).

Un’altra recente controversia riguarda il Nero d’Avola prodotto in Australia e venduto in Gran Bretagna, evocando la sicilianità del vitigno. Anche in questo caso, la tutela è affidata alle maestranze europee.

Difendere i nostri marchi di qualità significa tutelare il valore dei nostri vini. La qualità va riconosciuta anche nel prezzo. D’altronde il mercato dimostra che il consumatore è disposto a pagare di più per un prodotto premium se certo dell’autenticità di quello che sta comprando.

Contraffazione

La contraffazione dei marchi nel settore vinicolo vale in Italia 83 milioni di euro (studio dell’ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale Euipo).

Tutelare il proprio marchio è una pratica che inizia a diffondersi tra le aziende che si dedicano all’export. Le opportunità di veder scippato il proprio “nome” infatti è alto per il Made in Italy. È possibile difendere nome, logo, etichetta e tutto ciò che contribuisce a rendere il prodotto unico, registrando all’Ufficio Brevetti. Ma può bastare?

Le cronache riportano continuamente notizie di “falsi” enologici. La frode si può compiere reimbottigliando vini di bassa qualità in bottiglie di vini pregiati oppure dichiarando false provenienze o utilizzando etichette contraffatte.

Il rischio per il consumatore è quello di pagare di più per qualcosa che vale molto meno. Per il produttore, al danno economico, si aggiunge quello di immagine.

La sfida per l’azienda vinicola è trovare il modo di garantire il proprio vino fino alle mani del consumatore attraverso il pieno controllo della filiera.

Blockchain per la tracciabilità

Tutto del prodotto o servizio
La filiera è tracciata completamente nella blockchain. In ogni fase, sono raccolti tutti i dati (dalla geolocalizzazione del vigneto alle analisi qualitative del vino, dai trattamenti effettuati alla data di imbottigliamento e consegna al punto vendita). La qualità del vino e la sicurezza alimentare sono sorvegliate in ogni passaggio.

Ogni nodo è responsabilizzato
Oltre al consenso per ogni blocco aggiunto, i nodi possono accedere costantemente ai dati registrati nella blockchain. La condotta corretta e la precisa adesione alle regole imposte internamente alla blockchain sono sotto gli occhi di tutti. L’interesse comune è comunque quello di tutelare la qualità del “proprio” prodotto.

Sicurezza
Certificazioni, analisi qualitative, dati relativi ai trattamenti in campo e tutto quanto riguarda la salubrità del prodotto è raccolto e aggiornato nella blockchain, e reso visibile solo alle parti interessate.

Blockchain garanzia di autenticità

Garantire il prodotto dall’origine
La bloockchain riassume la vita di un determinato vino a partire dalla identificazione del vigneto e del produttore. Un percorso di trasparenza fin dall’inizio.

Combattere le contraffazioni
Una cantina che adotta la blockchain si tutela nei confronti delle contraffazioni. Il produttore può controllare il percorso della sua bottiglia fino al momento della vendita. Non solo. Grazie alle opportunità della blockchain, il consumatore potrebbe verificare in prima persona e in tempo reale l’autenticità di quello che sta acquistando.

Combattere la concorrenza sleale
Dimostrare con la massima sicurezza della blockchain l’origine di un vino DOC, è un vantaggio competitivo a scapito di chi lo afferma ma non può dimostrarlo.

La blockchain anche come leva di marketing. Ne parliamo qui.

About the author: Leila MItchel